L’occupazione delle coscienze

Tutto intorno a noi crolla: l’Europa, i partiti, gli Stati, le grandi istituzioni, la scuola, le autorità, i legami.

Il nostro Liceo occupato nell’indifferenza e nel disinteresse generale, nell’emergere di una sempre più diffusa “zona grigia” e secondo il “solito” copione pre-natalizio, è il segno evidente di una mancanza di affezione alla realtà e al bene comune, al destino delle singole persone, prim’ancora che alla scuola e al nostro quotidiano lavoro.

Ciò che è in crisi è il principio stesso di realtà e di esercizio della “ragione”. E si sa: quando la ragione si addormenta, genera mostri, una “terra di nessuno” preda di una violenza che, in quanto sorda e banale, è tanto più devastante. Anestetizza l’io di grandi e piccoli. Lascia macerie e il veleno di una sfiducia in tutto e tutti, nei più piccoli e di un scetticismo risentito e rassegnato negli adulti. Anche se poi sembra che tutto ritorni nei binari di una normalità ovvia e perfino cortese, secondo il solito richiamo alle regole e ai valori di una legalità conclamata, ma che non ha più radici, linfa vitale e sorgenti. C’è da chiedersi: quali sono le sorgenti ideali e morali da cui nacque la Costituzione italiana? A quale sacrificio e impegno reale richiamano?   

Bastano oggi le analisi economiche, politiche e sociali, pur necessarie ed auspicabili, da parte di politici ed esperti per ripartire, per risvegliare l’io? Basta ripetere le regole e il gioco delle parti?   

Ogni parola sembra logora e ogni dialettica stanca ed ovvia per stare di fronte a un senso di nichilismo dolce e menefreghista che ci avvolge e corrode le basi stesse dei rapporti ed inquina la sorgente della fiducia su cui solo può fondarsi una civiltà e una cultura. In fondo è una guerra silenziosa che devasta e occupa le coscienze, prim’ancora che le scuole. Una terza guerra mondiale a pezzi, come ci ha ricordato papa Francesco.

Eppure, anche nell’avvicinarsi di questo Natale, tornano a sorprenderci e confortarci storie e testimonianze di uomini e donne che, prima di noi, hanno attraversato analoghe barbarie e violenze, più esplicite, ma non diverse nella radice. Le voci di questi testimoni ci ricordano che nel fondo dell’umano qualcosa misteriosamente resta di irriducibile al potere, alla violenza e al nulla.

E’, ad esempio, la testimonianza di Etty Hillesum, ebrea olandese che nel luglio del 1943, da Westebork, due mesi di salire sul treno che l’avrebbe portata ad Auschwitz, così scrive nel suo Diario: “Volevo solo dire questo: la miseria che c’è qui è veramente terribile- eppure alla sera tardi, quando il giorno si è inabissato dietro di noi, mi capita spesso di camminare di buon passo lungo il filo spinato, allora dal mio cuore si innalza sempre una voce-  non ci posso fare niente, è così, è di una forza elementare- e questa voce dice: la vita è una cosa splendida e grande, più tardi dovremo costruire un mondo completamente nuovo. A ogni nuovo crimine o orrore dovremo opporre un nuovo pezzetto di amore e di bontà che avremo conquistato in noi stessi. Possiamo soffrire ma non possiamo soccombere. E se sopravviveremo intatti a questo tempo, corpo e anima ma soprattutto anima, senza amarezza, senza odio, allora avremo il diritto di dire la nostra parola a guerra finita”.

Ma noi adulti, professori, studenti, politici, ascoltiamo ancora voci così? 

Auguriamo a tutti di riscoprire nella festa del vicino Natale la sorgente di queste voci e di questi testimoni che soli possono disoccupare le nostre coscienze.

Marcello Strommillo e gli amici del Simposio